L’ultima raccolta di poesie “Addio Paroxetina” è disponibile qui.
COINVOLTO NELL’INFORMATIVA Di voi una paura trattenuta, sviata, elusa, tenuta a fondo, sul fondo, non riordinata, respirata a rantoli d’asma: non ne fu vera causa la mia allergia agli acari. Cerco minore consumo d’ossigeno, meno è l’ossigeno incamerato e minori le macerie durante la tosse, rifiuto confidenze, ritengo immeritato lo stare al mondo. Vivo un ricatto inespresso piantatosi zitto alla bocca dello stomaco, deviato sui compagni, su altri sospetti, sempre altri, respinti per ragioni familiari, battuti in gare immaginarie, osservati vincere.
MAGNET Oggi il nostro filo tiene. Non importa che alla fine io lo voglia sfilacciare: il nostro filo, ora che non stiamo insieme, tiene. E’ solo un dettaglio che io lo voglia attorcigliare in un proposito erotico abituale. Tu lo tieni teso il nostro filo, perché non vuoi, non puoi e anche se potessi non dovresti. Mi hai fatto vedere cosa indossi e per la prima volta anche a cosa giocavi da bambina, un piccolo telaio di fili colorati. Non devo più dire di te donna-ragno: i fili tuoi sono quelli del rettangolo di legno in cui ricamavi le lanose iridi, le lenti a contatto guastate dall’uso. Tu sei l’amica rimasta sconosciuta all’arroganza.
CHI CI FRENA Silvia principio della frenata: importante è che non mi si dica, che io mi possa disconoscere. Spazientirsi, anticipare la scelta dettata dall’avanzare del tempo: questa sera forse la scampiamo, riusciamo a vincere sia l’esilio che le grida del figlio. Leggiamo i fulminei ritratti di chi non ha più altro che la sincerità del fallimento: se maledetti si è, lo si è senza una pausa sola. Ripeto: non voglio più che mi si prenda, a costo di lunghi digiuni sociali. E non mi offro neanche a compiacenze incredule, ai messaggi riluttanti di un altro che crea: qualcuno che insista più di me nel creare ciò che crea.
SORELLA ANSIA, FRATELLO MALUMORE Sarà pure vero che fa meglio il meno, eppure speranza di vita attiva ci offre appena il medicinale che avvalla più serotonina tra le sponde neuronali – dopandoci – senza che un commissario svolga il prelievo a sorpresa certificando le nostre condotte sleali. „Noi due non siamo in competizione“ precisa subito antica concubina che diede avvio al lungo corso delle amate male da non sapere più a cosa attribuire ora un senso di voluttà e rispetto, la corsa che fai su te stesso non ha reale riflesso. Pochi i modi di correrti accanto, sento lo sparo dello starter che quando racconti recente refrattarietà alla penetrazione dispone tanti altri maschi lungo corsie interminabili di false partenze mai sanzionate, la gara che si palesa, io che resto ai blocchi, congelato. „Ero convinto baciasse chiunque“ dichiaro ai microfoni sollevato, questo cervello ammainato negli anni privi di te aveva continuato ossessivo a coltivare presunta tua immensa propensione all’atto, non accettando il nostro zero a zero di un rapporto incompleto, all’asciutto.
DO-LAURE Le mie cose sono come le tue cose, tendono alla malattia se vogliono essere ascoltate. Questo il regalo che mi fai: non mi devo più scusare. Convulsioni per non afferrare il telefono, il messaggio si disfa prima che legga del tuo malore. Sordo come scelta necessaria, prima sul fisso, poi sul cellulare. Rimugino il titolo di un testo scritto molto tempo prima, quando era chiaro che la nostra volesse diventare una patologia. Resteremo per sempre Corsette corsare: vorrò vederti, per non doverti salutare. Opprime le ossa un rancore: immersioni in una doccia, acqua che si versa superata la linea nera d’infezione. Lo spazio è inventato per gioco, è bacinella dove naviga a stento un pezzo di eterna plastica corrotta, noto alla mia infanzia e alla tua. La gioia fragile mutata in fretta, il richiamo ad altri uomini come costante perfetta di una tortura a sbarramento lieto della crescita.
Alcune poesie tratte da “Praesidium ignis” (2021)
PRELUDIO attorno automi che hanno promesso di bastare a se stessi, allenati a non desiderare, abituati ai loro esclusivi consumi brutali e occulti, si rivalgono alla prima occasione di ogni privazione pregressa, sono i tutori dell’avanzamento Eravate quelli feriti che si accomiatano, i feriti da voi che si salvano con il conforto della struttura, della corporazione, del peloton che tutto lenisce, che tutto assorbe, omnia remedia, il mito di un cavaliere solitario che non si disarciona, sosta sul cavallo imbizzarrito delle tesi sovrane, ostenta il bisogno di sfoghi in lunghe cavalcate violando le lande abissali, mentre le menti che lo hanno disgustato ancora nel gruppone a farsi dare ragione, a retribuire il piccolo obolo dell’appartenenza, obbedienza placida che attiva la garanzia di una carriera. Gli altri si sfiancano lungo i percorsi secondari, si curano, sì, della corsa sfrenata, rischiano il sé ben oltre le proprie risorse, le capacità atletiche di resistenza, ma che importa? Hanno ricevuto altro carburante dall’espulsione, la propulsione. Il dubbio se restare in carreggiata oppure inventarsi nuove strade andando sistematicamente fuori pista. La ribellione velleitaria o necessaria manifestazione della propria rabbia che mai intenderebbe creare macerie materiali, ma ulteriori macerie psichiche, quello sì, sicuramente? Non è una posa, ora lo sanno, quello che alcuni bollavano come elitismo di maniera era la sostanza inguardabile del reietto che condanna se stesso perché ama il disprezzo, lì si sente voluto. LE SPINE DELLA MENTE SVUOTATA Più non la si sfiori, perché già troppo l’abbiamo maneggiata, e non la si canti, perché la si è intonata a dismisura, niente le si torca e non le si respiri contro, quei cattivi sentori e il troppo sghignazzare, vi si dilata la mascella e non è d’aiuto ciò che potreste addurre, spiegarci o giustificare, nel caso siete voi che dovreste recedere, noi che non sapevamo di essere già condannati, ci chiedevamo da dove originasse lo strano senso di vacuità e non ci accorgevamo di occhieggiare attoniti davanti a uno schermo, così, senza precisa intenzione, remoti, analogici, su un altro versante.
Alcune liriche tratte da “Addio Paroxetina” (2018)
L’ODORE DEL DISPERSO VIAGGIATORE
Il bambino interviene su tutto, sabotando.
Abusato si ribella, bloccando l’esistenza.
Un lungo viaggio con tanti passeggeri, sia bambini che musicisti, pare proprio un tour-bus, senza un concerto in vista. L'approdo per me in particolare mi chiedo quando avverrà, sono in agitazione per l'arrivo, la destinazione è la discarica enorme di Basse di Stura dove ha lavorato mio padre, richiama al tempo stesso la centrale elettrica Vattenfall. Quando ormai sono in vista della meta c'è Salvo che mi sta aspettando apprensivo, si concentra sul luogo in cui fermerà l'autobus, lui sa che ci sono e sono felice che lui ci sia, non c'è scambio di sguardi, non ci riesce mai, non ci è mai riuscito di cercarci uno negli occhi dell'altro e annusarci: ci ostacola un forte pudore, acre, violento come il fetore dell'approdo su una montagna di detriti. EWA O. Il nostro snobismo è la stanchezza, la nostra vita un terreno di scontro di forze tenere e di intromissioni violente, le une incapaci di reggere l'urto delle altre, di ciò che lavora per un superamento progressivo di ogni limite; le cose che mi hai lasciato come pegno sono in ostaggio ormai da una stagione intera e io non ho alcun modo di contattarti, ti ho mandato alcune foto della valigia gonfia rimasta qui in cantina e le poche volte che hai risposto ho sperato in un recupero del pegno, vano il tentativo, mi devi ancora trecento euro. LA DONNA INTATTA Il vaso accanto al coperchio custodisce acqua marcia come avviene al cimitero, da un turismo sepolcrale alla cena fuori si imprime il medesimo fetore solo senza quella stessa intensità, sapere l'odore che avrà la terra attorno alla tua tomba come puro frutto di speculazione, non ci sarà terra, magari nemmeno il rinvenimento della salma. Lei è una a cui sembra cammini a fianco sempre un'altra persona, da lì, dall'attribuzione inesatta dell'origine del tanfo ai ravioli al vapore di un altro avventore si passa all'evidenza di accumuli stagnanti che rovinano la cena alla donna intatta. I POETI AMATORIALI Se chi scrive dedica il suo tempo a logori gabbiani che volteggiano nel blu fate male a definirlo un amatore: è la routine che si impone, nei versi e nella vita, e toglie spessore a tutto ciò che si compone. Eppure se al poeta del fine settimana si addice una certa angustia di figure e tenace assenza di mestiere, se talora affastella brevi sfoghi e si affligge dentro un recinto hobbistico marcato a zona dal demone dell'appagamento, per qualche minuto all'anno lui dal perimetro si affranca. Al lume di un portatile forza la propria cella lessicale e infine - sospinto dall'immagine pura di un volatile mai detto prima - sconfina. MODULISTICA Entro in banca e non colgo una vera e propria accoglienza, prendo un modulo che credo serva ai bonifici internazionali poi mi accorgo che è già compilato, non avrei dovuto prenderlo, sottrarlo. Mi siedo a una scrivania e all'inizio nessuno mi dice niente, poi di colpo si avvicina rozza un'impiegata che mi esprime il suo disprezzo, mi arrabbio, inveisco, dico che non c'era altro posto libero e che nessuno fino a quel momento si era voluto occupare di me, cliente abituale. La faccia impiegatizia emana livore, pur di essere notato allora commetto la mia solita infrazione: prendo ciò che non devo, siedo dove non devo. BIGI MAMA Faccio acquisti dentro un discount semivuoto. Prendo del tonno a poco prezzo, è sfilacciato, di bassa qualità, la buzzonaglia sponsorizzata sulla rivista della comunità africana a Spandau. Manca qualcosa, penso agli spinaci, prima li voglio prendere freschi, ce n'è una cesta piena, mi avvicino e mi servo, so che un po' di verdura è decisiva e meglio non surgelati, gli spinaci: soddisfatto pago a un ventriloquo intrapsichico, poi ancora alla cassa soppeso la stazza del Vico. IL BLOCCO DELLO SCRITTORE In questa mente ormai già regredita la pagina scritta con esattezza poetica cede il passo ad altro ed appare come un trucco, come l'astuzia di qualcuno che si viva come autore, che si operi affinché ogni piccolo gesto letterario sia impregnato di autorialità, avendo compreso come sia esaurita di parole la vena collettiva e staccasse l'ultimo tagliando disponibile perché conservi la nomea di poeta: la formula dunque è scritta e stampata, lo statuto di testo ufficiale guadagnato piantando insegne del proprio nome: ciò avveniva prima della regressione, questo genere d'idolo che molestava l'impulso alla scrittura. Il tempo è declinato e le figure che animavano il timore si sottraggono alla vista e non attendono al ruolo propulsore, non resta che seguire il suggerimento della strada e quel je m'en fous sbavato via sul canale. Parti, esci, ci si deve staccare dai blocchi di partenza, il momento in cui scattare, andare, il momento ormai trascorso, ma devi comunque andare, ti devi comunque muovere, non c'illudiamo in alcun modo che la corsa possa avere un qualche successo, esentato come sei dall'ottenere qualsiasi esito.
THREE MILLIMETRES Pin, chink, germ, crop. The womb a film. Diaphragm, aperture. Dark uterus impressed with existence: Half a centimetre, even less, a pebble. I now see the notches on the spore-sized Gauge, counting back - recalling first The coals of a one-night drug, Streetlamps melted orange in my head, That time, and wax became my teenage face, Much sightless was the post-flood damage. Only with growing of urban lichens, Gutter’s damp stains and rotten graffitis On the opposite façades, my eyesight got back. I would figure by scattered taints. Profile, edge. Next to the small case of the gas-meter, Down in the courtyard, like a holy shroud Under the stairs suddenly emerged, Terrifying supernal face. Encrustation. Blunder, refulgence, coloring, ignition, Dante between the curtains and beatitude in a jail. Soviet Union. Jubilee linen hanging out with neighbour’s Clothes, falls down injected in the wall, Where another wall has fallen. How does that July flashflood apply from the belly, distends the lighting point, echography makes iris of a tiny body swimming in the dark. Lantern. Daughter. Still unborn.